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Passatemi la battuta

Lippi nel precampionato (agosto 2009) disse che la Juve avrebbe vinto lo scudetto.

Dopodichè, causa impegni personali, decise di spegnere la tv e, a giudicare dalla formazione dell’Italia in Sudafrica, a giugno 2010 era convinto di aver azzeccato il pronostico.

Ma era ignaro del fatto che la Juve fosse arrivata settima, che avesse avuto la sestultima difesa del campionato (con centrali Cannavaro e Chiellini), che Camoranesi in campo era stato visto pochissimo e che Iaquinta era riuscito a realizzare solo 6 reti in tutto il campionato.

Oh, che volete, ognuno ha i suoi impegni.

P.R. – anche – per I mondiali come non li avete mai letti

Lippse dixit

Bisogna costruire il gioco di una squadra in base agli elementi che la compongono, in particolare gli attaccanti. Scelte diverse sono forzature.

Ci vule elasticità, concretezza e non rigidità, esasperazione. E’ importante, soprattutto, mandare in campo giocatori che abbiano acquisito la mentalità giusta, che capiscano che una squadra è tale e non un insieme di individualità, che siano disposti a sacrificarsi per la squadra e non solo per il proprio personale vantaggio, che avvertano l’orgoglio di appartenere al gruppo e a esso subordino le proprie ambizioni…

Marcello Lippi, Il mio calcio, Sperling & Kupfer, 1997

M.D.

A casa, porca vacchia!

Senza gioco, senza idee, senza corsa. E soprattutto, senza convinzione e personalità. Morale: si torna a casa, nonostante fossimo capitati in un girone per niente ostico. Un passo indietro rispetto a 2 anni fa con Donadoni, quando agli Europei riuscimmo a superare almeno il primo turno, in un girone poi ben più duro di questo. Eppure in questo ultimo match le nostre occasioni le abbiamo avute (con l’ultima di Pepe sprecata clamorosamente), frutto però più della disperazione e, diciamolo, anche dei limiti di chi ci stava di fronte: la Slovacchia, non Argentina o Brasile, porca vacchia! Lippi, vittorioso condottiero del 2006,  saluta mestamente l’azzurro. Ne eredita la guida Cesare Prandelli: sinceramente, pochi in questo momento lo invidieranno, perché l’impressione è che questa Nazionale ci metterà un bel po’ prima di risollevarsi e tornare ai livelli che le competono. Lasciamo stare i rimpianti per Cassano e Balotelli: il barese 2 anni fa agli Europei non aveva certo fatto sfracelli, e l’interista deve ancora dare prova di maturità come uomo, perché il talento non basta. E poi i problemi che assillano la nostra squadra sembrano talmente complessi che forse nemmeno un Maradona od un Pelé basterebbero a risolverli: ci sono evidenti limiti di gioco e impostazione. Soprattutto, tra i giovani, non si vedono all’orizzonte ricambi adeguati ai titolari di oggi. E il fatto che a vincere la Champions sia stata sì una squadra italiana, ma composta tutta da stranieri, dovrebbe fare riflettere. Prandelli dovrà avere molta pazienza. E anche noi con lui.

P.S.

Ringhiare non è roba per tutti

Con ogni probabilità oggi vedremo gli azzurri schierati con un 4-3-3. I dubbi da sciogliere sono in attacco: possibile l’impiego di Di Natale, Iaquinta e Pepe. I tre si conoscono bene. Hanno militato assieme nell’Udinese, stagione 2005/06, e non fu propriamente un successo, soprattutto a causa della difficoltà di conciliare impegni di Coppa e di Campionato: Udinese tredicesima (in seguito a Calciopoli, undicesima), 9 reti sia per Iaquinta che per Di Natale. Quella stagione, però, è stata quella della svolta per entrambi gli attaccanti: il primo partecipò alla spedizione azzurra a Berlino, il secondo, proprio a seguito dei mondiali, cominciò a frequentare stabilmente Coverciano.

Oggi rientrerà tra gli undici titolari Rino Gattuso. Una stagione in sordina (in panchina?) per lui, e diversi acciacchi. Il suo ingresso ci insegna che Lippi non crede alla storia dei limiti tecnici della Nazionale, o magari ci crede, ma non sembra convinto che sia con l’innesto di giocatori tecnicamente più validi che si risolva il problema. Il problema si risolve con uno psicologo, con uno che entra in campo battendo il pugno contro il palmo dell’altra mano, urlando a bocca aperta espressione incomprensibili. Incitamento puro, adrenalina pura.

Stiamo ancora aspettando che si gonfi la giugulare di Daniele De Rossi, come succede all’Olimpico, e perciò è la volta di Rino Gattuso.

Tutti tranne l’Italia

Pizza, pasta, mafia, Berlusconi. Cosa spinge un gruppetto di tedeschi a girare un video, augurandosi che il mondiale lo vinca chiunque tranne l’Italia, snocciolando una serie di luoghi comuni sul bel paese?

Bah, sarà mica colpa di questo?

Era Marchetti il problema

Sarebbe potuta durare 180 minuti, ma comunque non avremmo mai segnato. Non abbiamo avuto una, una sola, vera occasione da rete. Dichiara Marcello Lippi:

Non abbiamo avuto molta fortuna ma non abbiamo fatto grandissime cose.

La fortuna bisogna andare a cercarsela, nel gioco del calcio. Per quello che abbiamo creato avremmo potuto sperare nella fortuna solo in occasione dei calci d’angolo. Di certo non calciandoli in fallo laterale, o cercando il colpo di testa (cinque giocatori della Nuova Zelanda superavano il metro e novanta).

Per il resto, poche idee davanti. Poche, per non dire nessuna. Gli innesti di Pazzini e Di Natale non hanno cambiato assolutamente nulla. Tanto gioco macinato perché i neozelandesi si limitavano a restituirci la palla, quando la conquistavano (escluso brivido finale sull’incursione di Wood).

Ora siamo obbligati a sconfiggere la Slovacchia. Poi troveremo l’Olanda e la vincente tra Brasile e Spagna, a meno di clamorose sorprese.

Dopo oggi, chi ci crede faccia un passo avanti.

Se escludiamo il risultato, è stata una delusione colossale.

p.s. possiamo fare quattro giorni continuando a preoccuparci per Marchetti, proprio l’ultimo dei problemi, al momento.

Primi 45 minuti: cosa funziona e cosa no

Cosa non funziona

Ritmi troppo bassi: De Rossi ha spesso rallentato la manovra, e si è trovato spesso costretto a prendere palla sulla linea dei difensori.  Sugli esterni troviamo (e cerchiamo) raramente la profondità, e i nostri esterni di centrocampo (Marchisio e Pepe) raramente (mai?) hanno cercato l’uno contro uno. Gilardino completamente estraneo al gioco, così come Marchisio.

Cosa funziona

Abbiamo tenuto perfettamente il campo, (de)merito anche della Nuova Zelanda, che ha sempre cercato di scavalcare il centrocampo. Pepe, pur non essendo un funambolo, dimostra di essere un gran lottatore. Montolivo e Criscito in costante crescita, soprattutto psicologica. Anche Zambrotta sembra in condizione, sicuramente più che in campionato. Il gruppo, quello sembra esserci.

Con chi giocano gli azzurri: Nuova Zelanda

Se avete in mente gli All Blacks, scordatevi tutto. Sarà un caso, ma il fatto che la nazionale di calcio della Nuova Zelanda sia sprannominata All Whites sembra sufficiente a rendere l’idea.

La Nuova Zelanda è alla sua seconda partecipazione al Mondiale, dopo Spagna ’82. In quell’occasione tre sconfitte su tre.

Questa volta andrà di sicuro meglio. Nella partita d’esordio i newzelandesi hanno agguantato un insperato pareggio in pieno recupero, con la Slovacchia.

La Nuova Zelanda si è qualificata attraverso il più facile percorso possibile: Australia – per chissà quale motivo – nel raggruppamento asiatico, e Nuova Zelanda con Vanuatu, Nuova Caledonia e isole Fiji. Che più facile non si può.

Diciamoci la verità: solo gli azzurri possono complicarsi la vita. Il giocatore più rappresentativo Ryan Nelsen, difensore centrale del Blackburn, ma nonostante ciò la difesa è il reparto più traballante. Contro la Slovacchia gli All Whites si sono affidati a delle ripartenze – mal organizzate – con lanci lunghi a superare il centrocampo. E’ prorio l’attacco che potrebbe creare qualche grattacapo. Con la Slovacchia sono scesi in campo sin dall’inizio Fallon, Killen e Smeltz, tre giocatori vivaci e di buon livello.

C’è un precedente recente tra Italia e Nuova Zelanda: 10 giugno 2009, amichevole pre-Confederations Cup. Gli azzurri hanno inseguito per tutta la partita, la Nuova Zelanda mise in evidenza una buona preparazione fisica. Alla fine la spuntammo 4 a 3, senza alcun festeggiamento a fine gara.

Sempre i soliti

La Germania cambia, noi no.

It’s also a message for life in general that we can live together and achieve great things together.

P.C. – anche – per I mondiali come non li avete mai letti

Nascondete gli archetti

Chi mi conosce sa che ho un debole per Alberto Gilardino, che sono uno di quelli che a PES prende la squadra dove c’è Gilardino. Nessun’altra.

Ecco, però, spiegate a Repubblica.it che con titoli come questo

con titoli come questo – dicevamo – il Gila tende ad arrossire. E poi va a finire che si fa prendere dall’emozione. Come è successo questa volta, quando, invece di tirare…

Perciò, ok, Gilardino suonaci il violino, ma cantiamolo sottovoce.

S.C.