Archivi del giorno: 6 luglio 2010

La Celeste: il passato glorioso che ritorna

La storia della nazionale di calcio dell’Uruguay è affascinante e comincia insieme alla nascita del calcio internazionale: nel maggio del 1901, per la prima volta al di fuori delle isole britanniche, si affrontarono due rappresentative nazionali: Uruguay e Argentina.

I due decenni successivi elevano l’Uruguay a potenza calcistica continentale: nel 1916 trionferà nella prima edizione della Coppa America, per poi ripetersi, praticamente senza rivali, negli anni successivi. Arriva il 1924, e per l’Uruguay, qualificatosi ai Giochi olimpici di Parigi, è l’anno della consacrazione mondiale: sconosciuta dal calcio europeo, la Celeste si aggiudicherà i giochi, e riconquisterà il titolo nel 1928.

IL FUGGITIVO ANSELMO –L’indiscussa egemonia mondiale assicura all’Uruguay l’organizzazione del primo campionato del mondo di calcio, da tenersi nel 1930. Per l’occasione, il paese latinoamericano costruirà il leggendario Stadio del Centenario (centenario della promulgazione della Costituzione repubblicana), a Montevideo, capace di contenere, all’epoca, 100.000 spettatori. Lo stadio non è assegnato a nessuna squadra di club, e ospita solamente le partite della nazionale; quando questa subisce una sconfitta in casa si parla di Centenariazo.Sarà il Centenario a ospitare la finalissima, tra Uruguay e Argentina. L’atmosfera è elettrica, lo stadio pieno fino all’orlo. L’arbitro dell’incontro, consapevole del potenziale pericolo, pretende un’assicurazione sulla vita e una nave pronta a salpare per l’Europa al termine della gara. Anselmo, attaccante uruguayano, scapperà dallo stadio prima dell’inizio della partita, colpito da un attacco di panico. L’Uruguay si aggiudicherà il primo titolo mondiale della storia del calcio, vincendo per 4 a 2, pur non potendo contare sulle giocate del fuggitivo Anselmo.La Federcalcio uruguayana, dal tetto del mondo, guarda un po’ tutti dall’alto in basso: nel 1934 e nel 1936 deciderà di non inviare la rappresentativa rispettivamente ai mondiali in Italia e ai Giochi olimpici di Berlino, nonostante, in entrambi i casi, fosse campione in carica. Non parteciperà neppure alle qualificazioni per il mondiale del 1938, e la motivazione fu sempre la stessa: un non ben definito risentimento per la scarsa presenza di nazionali europee ai mondiali uruguayani del 1930. Da qui comincerà un lento declino, anche sul suolo americano.

O’ MARACANACO – La Celeste tornerà protagonista del palcoscenico mondiale solo nel 1950, inBrasile, in occasione dei primi mondiali del dopoguerra; essa può contare su giocatori di talento come Ghiggia e Schiaffino, ma le forze in campo sembrano enormemente squilibrate, se confrontate a quelle del Brasile, che dopo anni di vittorie sfiorate attende, con la certezza del trionfo, il mondialecasalingo. Nelle prime partite i padroni di casa segnano gol a valanga (21 in 5 match). Per l’unica volta nella storia, l’organizzazione del torneo non prevedeva una finale, ma due gironi: la squadra vincente il secondo girone si sarebbe aggiudicata il titolo. Destino vuole che l’ultima partita faccia incontrare Brasile, a 4 punti, e Uruguay, a 3 punti (allora la vittoria corrispondeva a 2 punti), configurando di fatto una finale. Due risultati disponibili per il favoritissimo Brasile, uno solo per l’Uruguay, che sembra destinato a schiantarsi contro i verdeoro. Ma il calcio, si sa, non è una scienza esatta. Dopo il vantaggio brasiliano siglato da Friaca, Schiaffino e Ghiggia, grazie alla loro classe, ribaltano il risultato in tredici minuti. Miracolo compiuto. Stadio ammutolito. In quella che passerà alla storia come O’ Maracanaco, o la tragedia del Maracanà, almeno dieci persone morirono di infarto (allo stadio). La squadra brasiliana abbandonò immediatamente il Brasile, per precauzione. Al termine della partita, i tifosi riuscirono però ad aggredire Ghiggia, loro incubo, procurandogli delle lesioni ad una gamba che lo costrinsero a un anno di inattività. Il Brasile dichiarò tre giorni di lutto nazionale, e a causa dellasconfitta molti brasiliani si tolsero la vita, chi per la semplice delusione, chi per aver perso ingenti somme investite sulla vittoria dei beniamini di casa.

GLI ORIUNDI – Le avventure di GhiggiaSchiaffino non finirono qui, ma anzi, andranno a intrecciarsi con quelle della nazionale italiana. Il primo si trasferì alla Roma nel 1953, il secondo – dopo aver disputato il mondiale del 1954 con l’Uruguay ed essere stato eletto miglior giocatore della competizione – si trasferì al Milan. Schiaffino, con 171 partite e 60 gol in rossonero, condusse il Milan alla vittoria di tre scudetti. Nella stagione 1960-61 passò alla Roma, vincendo assieme a Ghiggia laCoppa delle Fiere. Lo stesso Ghiggia cambiò casacca, durante la stagione successiva, passando al Milan e contribuendo (con sole quattro presenze) alla vittoria dello scudetto.Ma torniamo a parlare di nazionali. Ghiggia e Schiaffino, giunti in Italia, entrarono a far parte della categoria “oriundi” – più in voga allora di adesso – della nostra nazionale. I risultati, però, furono deludenti come non mai: era il 1958, e per la prima e unica volta gli azzurri non presero parte alla fase finale del mondiale di calcio. Il girone di qualificazione era il più facile possibile, con Portogallo e Irlanda del Nord, equivalenti (più o meno) a Nuova Zelanda e Slovacchia dei giorni nostri, per dire.

QUEL VUOTO FINO AD OGGI – La qualificazione ce la giocammo con i robusti irlandesi, su un campo di fango e con un pallone zuppo d’acqua. Ghiggia e Schiaffino non erano gli unici oriundi, come ricorderà Rino Ferrario, detto “mobilia” o “Leone di Belfast”, stopper di quella nazionale: “Ghiggia, Schiaffino, Montuori e Da Costa erano giocatori squisiti: Schiaffino è stato uno dei più bravi che ho visto nella mia vita, ma non erano tagliati per i campi pesanti, dove servivano randellatori, gente robusta, che martellava sul pallone”. Guido Vincenzi, di professione centravanti, ricorderà la disfatta, alimentando un dibattito mai terminato: “Il concetto di patria era già superato anche per noi, i tempi stavano cambiando. Ovviamente Ghiggia e compagni non potevano vedere nella nazionale italiana la loro patria, tanto più che Ghiggia aveva già servito ai mondiali la sua patria effettiva, l’Uruguay. Si è poi saputo che a molti di questi oriundi sono stati scovati nonni fasulli, per poterli tesserare in Italia. Però non credo che questi sudamericani possano essere tacciati di menefreghismo. Sentivano anche loro la partita ma, ripeto, per via di quel clima infuocato non era una partita adatta ai loro mezzi tecnici e diciamo pure fisici, perché erano tutti abatini, per usare un termine caro a Brera”.E invece, per l’Uruguay, come andò il mondiale 1958? Male. Come per l’Italia non riuscì a qualificarsi in un girone abbordabilissimo, insieme a Colombia (pareggio 1 a 1) e Paraguay (un’umiliante sconfitta per 5 a 0). Da qui in poi solo un quarto posto nel mondiale 1970. Si aggiudicherà la Coppa America nel 1959 e nel 1967, due altre volte negli anni ‘80 e una nel 1995. Poi, vuoto pneumatico. Fino al 2010, si intende.

S.C anche su Giornalettismo

Paul il polpo

In Inghilterra, paese che ama scommettere, avere informazioni e statistiche accurate sull’oggetto o evento del proprio “investimento ad alto rischio” è fondamentale.

Il Guardian, a questo scopo, ha dedicato ai Mondiali in Sudafrica una parte della suo datablog, una repository gratuita di dati per fare analisi e infografica più o meno serie sui temi più diversi.

Dal datablog si possono adesso scaricare dati “crudi” sulle performance di tutte le squadre che hanno giocato a questi mondiali oppure si possono leggere le analisi già fatte da Opta che ha tradotto i dati in percentuali probabilistiche di vincita.

Ma se voi alla statistica, nota versione scientifica della menzogna, non ci volete credere, potete sempre affidare il pronostico a Paul, il polipo del Sea Life aquarium di Oberhausen in Germania. Prima di ogni partita vengono immerse nella sua vasca le due bandiere delle squadre in campo e lui si sdraia mollemente su una o l’altra a indicare il vincitore.

Sembra che abbia azzeccato tutti gli ultimi cinque risultati!

E.B. – anche – per I mondiali come non li avete mai letti.

Se anche i tedeschi cantano in coro

Non sarà la loro prima volta. Spagna e Germania si sono incontrate, in un torneo internazionale, appena due anni fa, in occasione dell’Europeo. Non si trattava della semifinale, ma della finalissima.

In quell’occasione partivano favoriti gli iberici, che alla fine la spuntarono grazie a un gol di Fernando Torres al 33° minuto; l’assist, scontato, di Xavi. Alla vigilia della finale, i tedeschi tirarono un sospiro di sollievo quando furono annunciate le formazioni: David Ballack, capitano e trascinatore, partiva titolare, dopo essere stato in dubbio fino all’ultimo per un risentimeno al polpaccio.

C’era anche Fernando Torres, come abbiamo detto, ed era assente, invece, David Villa, rimpiazzato da Cesc Fabregas. Torres era in grandissima forma, e Villa non era ancora esploso definitivamente ma per il resto, gli attori protagonisti – la generazione di fenomeni spagnola – non sono cambiati. La Germania, al contrario, si è rinnovata profondamente, senza soffrire alcun periodo di transizione, ma anzi, riuscendo a dare continuità a un percorso straordinario: finalista nel mondiale 2002, semifinalista nel 2006, finalista nell’europeo 2008 e semifinalista – traguardo minimo – ora in Sudafrica. Oltre al coraggio del c.t. Loew, Bernd Schuster, stimato tecnico tedesco, arriva a considerare “un colpo di fortuna” l’infortunio di Ballack: lo stesso Ballack che solo due anni fa veniva considerato indispensabile. “Se Ballack non si fosse infortunato, Schweinsteiger non sarebbe stato così straordinario, perché sarebbe stato solo un giocatore in più alle spalle di Ballack, e invece ora è libero di mostrare tutte le sue potenzialità: secondo me, finora, è il miglior giocatore del mondiale”.

Per capirci: Schweinsteiger due anni fa giocava sulla destra (nella posizione dove ora Muller – classe 1989 – sta mettendo in mostra colpi da campione), e il ruolo che ricopre ora, in coppia con il giovane Khedira, era svolto dalla coppia (meno giovane) formata da Frings e da Hitzlsperger, impegnati nel recuperare palloni e indirizzarli, obbligatoriamente, sui piedi di Ballack, che giocava sulla trequarti, alle spalle di Klose: tutti i palloni e tutte le azioni offensive erano filtrate da lui. Ora al posto Ballack troviamo Ozil – classe 1988, di origini turche – che, pur avendo ottime doti balistiche, non funziona da unico catalizzatore del gioco. E così Schweinsteiger è, a tutti gli effetti, più libero di agire e di impostare la manovra. Coralità e assenza di “prime donne”: è stata anche questa la chiave della vittoria sull’Argentina, e chissà che non sia la stessa chiave per portare a compimento un ciclo di successi mancati, cominciato nel 2002.

S.C. anche su Giornalettismo