Archivi del giorno: 3 luglio 2010

Cry for you Argentina

Ieri, per le strade di Buenos Aires, avevano addirittura fatto caroselli, per celebrare la sconfitta del Brasile, il vicino calcistico più odiato, nonché un accreditato rivale per la vittoria finale. Perché gli Argentini ci credevano davvero  di poterlo vincere questo mondiale.  La stampa internazionale e quella di casa li davano ormai per favoriti assoluti, dopo quattro vittorie e lo show contro il Messico negli ottavi.

Persino il CT Maradona, arrivato in SudAfrica tra dubbi e critiche per via di una stentata qualificazione, improvvisamente era tornato per tutti El Diego, mito assoluto dell’argentinità alla pari con Carlos Gardel ed Evita. Le sue debolezze tattiche sembravano riscattate dal carisma. Un laico Padre Pio in doppio petto, ma con il rosario in pugno, capace di infondere nella selecion serenità e allegria. Higuain segnava a ripetizione, Teves girava a mille,  e la difesa, nonostante l’assenza di un pezzo da novanta come Samuel, teneva.

E poi c’era quello  “zero” nel tabellino del giocatore più importante, quel Lionel Messi che Maradona e il mondo intero hanno già designato erede del pibe de oro. Invece che un limite, l’attesa “messi(anica)” del primo goal di Lionel, faceva sperare tutti per il meglio. Quando anche Messi giocherà ai suoi livelli, si diceva, l’Argentina diventerà ancora più forte.

Ma poi si arriva in campo e la musica, già al secondo minuto, è un’altra.  Tra campioncini trovati per strada (Muller e Ozil) e vecchie glorie ritrovate a Villen Arzillen (Klose e Podoslki), la premiata panzeria di Joaquin Low travolge ogni velleità offensiva argentina.

La palla Messi e i suoi la tengono fra i piedi, ma senza combinarci molto, per loro demeriti, ma anche per i meriti dell’avversario: ordinato, veloce, ficcante. Alla fine il punteggio di 4 a zero suona spietato ma sincero. All’Argentina restano i rimpianti per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, come accade in certe storie d’amore infelici raccontate nei tango.

M.D.

Il coraggio di un re guerriero

Il coraggio non è una cosa che s’impara. O ce l’hai o nessuno te lo può dare.
Asamoah Gyan, attaccante ghanese, ieri sera, ha dimostrato di averne di coraggio e tanto.
Al minuto  115 dell’infinita sfida con l’Uruguay, quando il suo alter ego uruguagio Luis Suarez, per evitare un goal certo, respinge un pallone con le mani  sulla linea di porta, l’arbitro assegna al Ghana un rigore decisivo.

A presentarsi sul dischetto, è lui Asamoah Gyan  che ha segnato  già in due occasioni su rigore ai Mondiali,  contro Serbia e Australia.
Asamoah sistema il pallone sul dischetto, chissà quanto diventa pesante, in quel singolo istante, il leggero Jabulani. Si porta appresso le  speranze di un intero continente. Nessuna squadra africana è mai giunta prima in seminifinale ed, ora, solo undici metri separano il Ghana e l’Africa tutta da quel sogno.

Asamoah può essere l’eroe della giornata, come lo è già stato qualche giorno fa negli ottavi, firmando il gol della vittoria contro gli Stati Uniti, ancora nei supplementari. Asamoah può diventare un simbolo per il suo paese, il primo dell’Africa intera a raggiungere l’indipendenza politica, cinquant’anni fa.  Ora può arrivare l’indipendenza calcistica: essere fra le prime quattro squadre al mondo.  Magari, poi ci faranno anche un film a Hollywood, come accaduto per la nazionale sudfricana di rugby.

Gyan prende la rincorsa e calcia. Un pallone scagliato con forza, con tutto quello che ha dentro,  ma un pallone impreciso, tirato alto, nel mezzo, che si infrange sulla traversa e finisce fuori. Asamoah è incredulo: non riesce a capacitarsi di aver sbagliato.

Intanto non c’è più spazio per giocare, si va alla cinica lotteria e il Ghana è il primo a dovere tornare dagli undici metri per un rito feroce, che pochi istanti prima è stato promessa di gioia e, poi, amara delusione. Chi s’incarica di un tiro tanto delicato, dopo quanto avvenuto? E’ lui, ancora lui, incredibilmente, Asamoah Gyan, il coraggioso.  E stavolta non sbaglia, ma non se la sente nemmeno di esultare. E’ come se sentisse che il destino l’ha sfiorato e lui non è riuscito ad afferrarlo.

Sono nell’aria gli errori di Mensah e Adiyiah che arrivano puntuali. In seminfinale ci va l’Uruguay. Asamoah si dispera e piange, come i suoi fratelli del Ghana, espressione che nella loro lingua vuol dire “re guerriero”.  Loro lo sono stati, ieri sera, regali guerrieri senza corona mondiale. Perché il coraggio, purtroppo, a volte non basta.

M.D.

Extracomunitari dimezzati: protesta la Lega

Avete letto bene: però è la Lega Calcio.

P.S. – anche – su I mondiali come non li avete mai letti